di Danilo GALDINO

Un pomeriggio il cuore gli disse che lui era felice. “Anche se ogni tanto mi lamento,” diceva il suo cuore, “lo faccio perché sono il cuore di un uomo e i cuori degli uomini sono così: hanno paura di realizzare i sogni più grandi, perché pensano di non meritarlo, o di non riuscire a raggiungerli. Noi, i cuori, siamo terrorizzati al solo pensiero di amori che sono finiti per sempre, di momenti che avrebbero potuto essere belli e non lo sono stati, di tesori che avrebbero potuto essere scoperti e sono rimasti per sempre nascosti nella sabbia. Perché, quando ciò accade, noi ne soffriamo intensamente.” Il mio cuore ha paura di soffrire, digli che la paura di soffrire è assai peggiore della stessa sofferenza. E che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.
Quando Paulo Coelho scrisse e pubblicò in Brasile “L’Alchimista” era il 1988, il libro fu successivamente tradotto in cinquantasei lingue, tra cui l’italiano, e nel corso del tempo ha venduto oltre cento milioni di copie in più di centocinquanta nazioni. In quell’anno la Lazio nostra militava in serie B ed era scampata l’estate precedente ai meno nove punti di penalizzazione e gli spareggi di Napoli. Il 19 giugno dello stesso anno la squadra allenata da Fascetti tornò in serie A insieme al Bologna, Lecce e Atalanta.
In quel giorno di festa vissuto con la vittoria finale contro il Taranto per 3-1, all’Olimpico eravamo tutti felici ed i nostri cuori vivevano dei sentimenti contrastanti. La gioia sfrenata di essere usciti fuori dall’inferno ed essere tornati a rivedere le stelle, si mescolava ad una latente paura di ripiombare nuovamente a soffrire. L’instabilità e le poche certezze di quegli anni ottanta, hanno messo a dura prova i cuori di tutti i Laziali più o meno giovani.
Il timore di scontrarsi contro società più ricche e meglio organizzate era sempre in agguato, la paura di tornare a soffrire da un momento all’altro, era uno spettro costante, ma come aveva fatto lo scrittore brasiliano, anche i Laziali più saggi e temprati dalle difficoltà ricordavano a noi più giovani che se “il tuo cuore ha paura di soffrire, digli che la paura di soffrire è assai peggiore della stessa sofferenza. E che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.”
Quello fu l’inizio di una nuova vita, lo spettro della retrocessione svanì velocemente di anno in anno, la dimensione nazionale ed internazionale della Lazio nostra divenne progressivamente sempre più importante.
Il 29 gennaio del 1989 alle 14:30 tornammo ad ospitare la Juventus a casa nostra ed il pensiero di sentirsi troppo piccoli davanti ai grandi, erano lo stesso che in molti vivono in queste ore.
Era la Lazio del Mister Giuseppe Materazzi e del Presidente Calleri, era la Lazio di Martina, Marino, Monti, Pin, Gregucci, Piscedda, Di Canio, Beruatto, Icardi, Rizzolo, Acerbis, Sosa.
Quella domenica pomeriggio alle 14:30, tornava a respirare l’aria dei big match, e contrariamente ad i pronostici sfavorevoli, la partita terminò 0-0. Al termine di quel campionato l’Inter vinse il tricolore, la Juventus arrivò quarta, gli altri ottavi e noi decimi a pari merito con altre quattro squadre, conquistando una salvezza sofferta. In quel momento nessuno dei nostri cuori, poteva immaginare che da lì a breve, sarebbero arrivate coppe nazionali, scudetto e trofei europei, ma ugualmente c’era la voglia di vivere qualcosa che ti faceva sentire unico e speciale, che ti distingueva da tutto e tutti, che regalava orgoglio anche tra mille disagi e difficoltà.
È strano vedere come negli ultimi 30 anni, le generazioni di quel periodo e quelle di oggi, si siano “imborghesite” a tal punto da snobbare finali, derby e partite di cartello. Sicuramente quegli anni sono fortunatamente un lontano ricordo, ma la paura di soffrire che in molti scrivono e gridano ai quattro venti è assai peggiore della stessa sofferenza. Tutte queste persone hanno dimenticato che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.
Domenica sera, non sarà un’occasione per vedere da vicino uno dei giocatori più forti e vincenti della storia, ma per andare a sostenere quei ragazzi più o meno bravi che vestiranno di biancoceleste e avranno l’aquila sul cuore. Anziché perder tempo, dietro ad inutili ragionamenti su cosa è giusto o sbagliato, ben fatto o no, seguire il nostro cuore ed i nostri sogni, è da sempre l’unico modo di vivere la Lazio nostra. Probabilmente si potrebbe incappare in un’altra sconfitta, ma anche in quel pomeriggio del 1989 molti di noi avevano le stesse preoccupazioni. La vera sconfitta non è quella che potrebbe maturare al termine di una gara, ma aver perso lo slancio e la voglia di amare incondizionatamente. Non temere Cristiano Ronaldo e tutti i grandi campioni che vestono la maglia bianconera, perché nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni…
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!

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