Un graditissimo ritorno: quello del taccuino biancoceleste di Arturo Diaconale su Facebook, attraverso il quale il Responsabile della Comunicazione della Lazio è tornato a comunicare con tifosi e addetti ai lavori dopo l’operazione chirurgica subita:

Non sono riuscito a ringraziare personalmente lo straordinario numero di persone che ha manifestato solidarietà e sostegno nei miei confronti in questo momento non facile della mia vita. Lo faccio oggi in maniera meno diretta e più generale, ripromettendomi, ovviamente, di poter ristabilire i passati rapporti amicali quando la mia emergenza sarà terminata e la ripresa della mia vita normale sarà tornata possibile.

C’è un punto che mi sta molto a cuore, che intendo chiarire subito: non si tratta di ringraziamenti formali. Perché anche l’immenso abbraccio di calore ed affetto che ho avvertito e che ha tanto rincuorato e confortato la mia famiglia nei momenti più difficili e che mi ha donato forza e coraggio per andare avanti, non è mai stato connotato da alcun tratto di vuota formalità. Piuttosto, mi è giunto con una intensità ed una carica umana molto profonde e sincere.

Subito dopo l’operazione in cui mi è stata aperta la calotta cranica per rimuovere il malevolo intruso che vi si era insediato, mi era capitato di riflettere sul fatto che la pandemia non aveva generato i tanto attesi, spesso in maniera forzosa, cambiamenti sulla natura di un Paese che ormai si è tendenzialmente consegnato al cinismo spietato e che è spesso poco solidale. Un’amara considerazione, la mia, a cui mi aveva spinto la lettura di una nota pubblicata sul Corriere della Sera da Stefano Agresti in cui si dava notizia del mio intervento e si esprimeva una severa condanna di coloro che nel commentare la mia vicenda sui social network mi auguravano la morte tra i più atroci patimenti.

Sono sempre stato consapevole della natura del tifo calcistico, una componente di quel fiume carsico che scorre attraverso la nostra storia e che affonda le sue radici, il suo Dna, nel Medioevo dei Comuni per dilatarsi e avanzare a dismisura durante le lotte per le primazie nei comuni, nei quartieri e nelle contrade, tra famiglie nobili e la borghesia commerciale e che, prima di trovare la propria evoluzione nel municipalismo, si connota per una forte carica di intolleranza e di odio che spinsero Starace, Montanelli e Malaparte a descrivere il popolo italiano come l’unico al mondo che intraprende volentieri un solo tipo di guerra, quella civile e fratricida.

Ora ad essere travolto da questa violenta corrente fluviale di livore ero diventato io e non riuscivo a darmene una ragione logica. Solo perché mi ero battuto per sostenere le legittime ragioni della S.S. Lazio di poter concludere regolarmente il campionato puntando ad ottenere un risultato di prestigio già in parte acquisito sul campo? Francamente non sono riuscito ad individuare una proporzione tra l’esercizio del mio lavoro, che è anche passione sportiva, e l’impietosa, livida perfidia, l’ostentata furia al linciaggio che mi si era riversata addosso.

Per questo la pervasiva ondata di calore e affetto che mi ha avvolto mi è stata tanto utile, anzi indispensabile. Perché mi ha rivelato, durante le interminabili ore in cui la mia salute era sospesa e affidata alle mani sapienti di chirurghi ed infermieri, che non potevo contare soltanto sulla mia tenace volontà di vincere la mia battaglia per la vita, ma che i rapporti umani solidi, ampi, alcuni costruiti nei decenni di scambi e amicizie, altri più recenti ma altrettanto umanamente fruttuosi, stavano confluendo velocemente intorno a me per puntellare e sostenere con l’amore la mia ferma determinazione a non arrendermi mai.

L’elenco delle persone da ringraziare è sterminato. Inizio con Claudio Lotito, che ancora una volta mi ha fornito una dimostrazione di amicizia sincera e di profonda umanità. Con lui tutti i dirigenti della società biancoceleste, a dimostrazione del fatto che quando il Presidente parla di clima familiare in riferimento alla S.S. Lazio non si abbandona ad enfasi di sorta, ma dice la profonda verità. Stefano De Martino, Simone Inzaghi, Angelo Peruzzi ed i medici a partire da Ivo Pulcini mi sono stati tutti vicini. Per non parlare di Anna Rita Iacobini, leader indiscussa della tifoseria laziale che si è aggiunta con entusiasmo alla comunità di preghiera organizzata da mia moglie Barbara e non le ha mai fatto mancare sostegno e conforto nelle difficili giornate passate. I miei figli amorevoli Valentina, Claudia e Alessandro. Le mie sorelle Cristina e Patrizia e tutti i miei affettuosi familiari. Per non parlare, poi, dei miei amici storici.

Dal “fratello Guido Paglia”, a cui debbo la fortuna di aver potuto seguire le vicende del primo e del secondo scudetto (in entrambi i periodi, giocando, mi ero rotto i tendini di Achille e solo grazie a lui, che oltre a prendermi a casa per portarmi al lavoro nella Sala Stampa di Piazza San Silvestro e riconsegnarmi a destinazione al termine della giornata, mi accompagnava allo stadio la domenica aiutandomi ad inerpicarmi sui banchi della stampa – avevo le stampelle – per seguire le partite). Con lui ho passato momenti di lavoro intensi e felici e me lo sono ritrovato ancora una volta al fianco senza distinzioni di sorta per i diversi ruoli avuti nella Lazio in epoche diverse. Ha tenuto informati i miei vecchi amici de “Il Giornale”, da Paolo Liguori a Clemente Mimun ed Andrea Pucci che, a loro volta, hanno informato Antonio Tajani e Gianni Letta. Anche loro autori di atti di amicizia nei miei confronti. E ha messo in condizione il mondo Rai, a partire da Mario Orfeo e Nicola Claudio e tutti gli altri consiglieri d’amministrazione di cui ero stato collega di conoscere e seguire le mie condizioni di salute e farmi avere il loro conforto.

L’elenco da ringraziare è ancora lungo. Tiberio Timperi che mi ha fatto gli auguri sinceri alla fine della sua trasmissione, Michele Plastino, Guido De Angelis, Paolo Signorelli, Renato Siniscalchi e l’infinità di tifosi laziali che mi è stata vicina. Ringrazio anche tutta la redazione e i collaboratori de “L’Opinione” che mi sono stati vicini. Ma gli elenchi, in quanto tali, sono sempre spersonalizzanti. Così preferisco rinviare ad altro momento la fase dei ringraziamenti personalizzati.

Ciò che però tengo a sottolineare come riflessione compiuta nei giorni difficili è che questa ondata di affetto e considerazione è anche il frutto diretto del clima famigliare che Claudio Lotito ha voluto creare nell’ambiente Lazio, un’atmosfera che oltre a far dimenticare gli anni della ingiusta contestazione va considerato come un vero e proprio valore aggiunto del patrimonio della società. I giocatori vivono in un ambiente sereno e capiscono che sono proprio queste condizioni ambientali particolari a contribuire in modo decisivo a valorizzarli al massimo. Naturalmente i contratti che si adeguano contano. Ma rappresentano un fattore aggiuntivo in una situazione ottimale che spesso non è la norma nelle grandi società sportive.
Le possibilità di chiudere al meglio il campionato, dunque, ci sono tutte. Sfruttiamole a fondo contro tutto e contro tutti i pregiudizi. Facciamoli neri! Che la ruota gira e questa volta può andare nella nostra direzione. Forza Lazio e grazie ancora a tutti!

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