di Danilo GALDINO (foto © Roberto PROIETTO)

Avete mai avuto la sensazione di sprofondare? Un centimetro per ogni minuto che scorre, un centimetro dopo l’altro, andare giù fino a trovarsi all’inferno, stritolati dalle insicurezze, impotenti e inefficaci, smarriti tra i dubbi.
In quei momenti è facile desistere, lasciarsi andare, decidere di ammainare bandiera bianca, girare le spalle e andarsene sconsolati, arrendersi e mollare tutto e tutti.
La strada che porta dritti all’Inferno è in discesa, è facile cadere e ruzzolare giù, è difficilissimo risalire in superficie e l’unico modo per non restare imprigionati e perire, è la fede. Sì in quei momenti, non resta che aggrapparsi alla fede irriducibile, alla speranza incrollabile, all’amore incondizionato.
Un sabato di festa trasformatosi nel giro di trentasette minuti in un brutto incubo. Sotto il sole splendente una squadra forte, molto forte in ogni reparto, che giocava a memoria, vinceva tutti i duelli in ogni zona del campo e segnava con facilità… zero a uno… zero a due… zero a tre…
“No non può essere vero? C’è veramente tutta questa differenza di valori tra noi e l’Atalanta? Sicuramente loro non sono più una incredibile sorpresa, ma sono diventati una realtà importante del nostro campionato, ma questa vista nel primo tempo non può essere la Lazio nostra”.
Questo è ciò che abbiamo pensato tutti i presenti allo stadio Olimpico, questi e tanti altri interrogativi, rimbalzavano nella nostra testa come palline di un flipper impazzite.
“Lo sai che ve dico? Io me ne vado a casa, di vedere questo spettacolo vergognoso e farmi umiliare non mi va…”
Le parole dette da più di qualcuno durante l’intervallo della gara, mentre lasciava anticipatamente lo stadio. La rabbia e la delusione spesso prendono il sopravvento sulle persone più fragili, ma chi nasce o diventa Laziale senza scordarne i motivi di quella scelta coraggiosa, dovrebbe ricordare sempre che la parola resa non è presente nel nostro vocabolario biancoceleste.
Si fischia, si contesta, si pungola e motiva la squadra, ma la Lazio nostra ed i Laziali non si abbandonano mai.
E allora ti guardi intorno, cerchi speranza negli occhi di chi ti è accanto, cerchi tra i ricordi di rimonte del passato un pizzico di fiducia, cerchi un po’ di forza nel ruggito costante della Curva Nord, cerchi tra il cielo e tra le nostre bandiere l’aiuto di qualche angelo.
Un attimo, un episodio, una scintilla che possa cambiare tutto… ti ripeti che: “Vince sempre chi più crede, è chi più a lungo sa patir”, per questo non smetti di credere neanche all’Inferno. Al 69’ arriva il lampo che i più temprati aspettavano dal nostro campione. E segna sempre lui, si chiama Ciro Immobile e segna sempre lui…
La rabbia è come il fuoco: nella debolezza può soffocarti fino a carbonizzarti, ma se trasformata in energia propositiva, può diventare il combustibile più potente che ci sia… mai far arrabbiare chi ama come noi, mai far arrabbiare i Laziali.
Il boato che accompagna la palla in rete calciata dal dischetto del rigore da Ciro, scuote le coscienze e accende gli animi di tutti i presenti in campo con l’aquila sul cuore.
Il tempo di riprendere fiato e Correa segna un goal pazzesco. E chi se ne frega se precedentemente se ne era divorato un altro, ora c’è da spingere ancor più forte…
“Forza Lazio carica!”, carica forte e a testa bassa come il tuo popolo, carica perché la porta del Paradiso non è più così lontana.
Il tempo passa e l’arbitro comunica cinque minuti di recupero: “Come solo cinque minuti? Questi hanno perso parecchi minuti a rotolarsi a terrà tutto il secondo tempo!”
Serve ancor più rabbia, forza e coraggio…
Come quella che ha una pantera nera come Caicedo, azzanna e strappa dai piedi di un avversario un pallone prezioso, lo consegna al giocatore più talentuoso della squadra e Sergej stavolta non tradisce disegnando il passaggio perfetto per il più forte attaccante italiano in circolazione che sguscia e… RIGOREEE!
In un istante il pallone diventa pesante come una palla medica, il silenzio piomba sullo stadio, c’è chi non vuole vedere e si copre gli occhi, chi si volta di spalle cercando risposte negli sguardi altrui, chi prega, chi divora una sigaretta, e chi ripensa al rigore fallito da Correa nella partita precedente di Bologna.
Ciro calcia e… viene giù lo stadio!
Abbracci tua figlia e tuo padre che piangono felici, abbracci l’amico di sempre e lo sconosciuto accanto a te che impazziscono di gioia, abbracci idealmente Ciro che corre a petto nudo sotto la Nord…
Ti guardi intorno e pensi: “Ma come cazzo fanno a rinunciare a tutto questo?”
È la magia della Lazio nostra, è l’essenza del calcio, è il motivo che ti spinge ogni volta a ripartire, ricominciare e credere sempre più.
Un pareggio non è sempre un pareggio… a Bologna aveva il sapore di una sconfitta, sabato invece ha avuto il gusto ed il valore di una vittoria. Di cose che non girano nel giusto verso ce ne sono ancora tante, ma oggi a distanza di 48 ore, ripensando alla giornata pazzesca vissuta sabato all’Olimpico, il primo pensiero che balena per la testa è “quanto è bello esse Laziali, Laziali come noi, cor core e co’ li brividi ce stamo solo noi…”
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!

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