di Danilo GALDINO

È strano quello che accade nel mondo biancoceleste. Sono settimane che le nostre orecchie sono costrette ad ascoltare ex calciatori, opinionisti, giornalisti, tifosi e conduttori radiofonici apostrofare le Coppe Italia e le Supercoppe vinte negli ultimi dieci anni, delle “coppette”. Sarebbe un po’ più comprensibile se a farlo fossero i nostri eterni rivali, che vivono male ogni vittoria della Lazio nostra. Roma da sempre è una città fatta di storie e di cantastorie…
Ci sono storie che raccontano fatti realmente accaduti, altre che sono frutto dell’immaginazione e della fantasia, quelle che fanno addormentare dolcemente e quelle che danno vita a incubi ricorrenti che generano ansia, sconforto e paura.
Ad ognuno la sua storia, ad ognuno il suo destino, ad ognuno i suoi trofei.
La Coppa Italia è stata da sempre una competizione molto affascinante per vari motivi: è il titolo che rispetto al campionato di serie A, coinvolgeva e permetteva di partecipare le squadre italiane di tutte le categorie di professionisti. È dopo lo scudetto il trofeo nazionale più prestigioso che permette di avere una coccarda tricolore sul petto. Rispetto a un lungo campionato a 16, 18, 20 squadre, da l’opportunità di confrontarsi testa a testa per 90 o 180 minuti a qualsiasi formazione, azzerando spesso pronostici e disparità economiche, di blasone e mediatiche. Questa competizione un tempo permetteva alla vincitrice di partecipare al prestigioso trofeo europeo chiamato Coppa Coppe e rappresentare il proprio paese d’appartenenza in tutta Europa. Ora permette di partecipare direttamente alla fase a gironi dell’Europa League.
Rispetto al campionato, la storia della Coppa Italia è molto più avvincente e ricca di inaspettati colpi di scena. Grazie alla formula ed il regolamento, si sono scritte storie incredibili: piccole cenerentole hanno rubato il proscenio a tutte le altre formazioni. La differenza reti ed i goal dal doppio valore in trasferta hanno stravolto gli schemi e cambiato il volto di ogni singola partita. I tempi supplementari e la lotteria finale dei calci di rigore, hanno esaltato i match con incredibili scariche adrenaliniche.
Ad ognuno la sua storia, ad ognuno la sua Coppa Italia.
Nella Capitale la Coppa Nazionale, viene vista in modo diametralmente opposta dalle due squadre della città: per noi Laziali dovrebbe valere tantissimo per mille e più significati. Nel tempo ha regalato notti magiche ed il solo ricordo di questa manifestazione dovrebbe far comparire un piacevole sorriso sul volto di ogni Laziale. Per gli altri, questa manifestazione si è trasformata nel corso del tempo da situazione piacevole a incubo ricorrente.
La Coppa Italia è il nostro primo titolo arrivato dopo 58 anni di storia, è stato l’unico vinto per ben 74 anni. La vittoria della seconda Coppa Italia nel 1998 ha segnato il cambiamento epocale del nostro club, dando il via a una serie incredibile di vittorie in campo nazionale ed internazionale, collocandoci sul quarto gradino delle società più vincenti d’Italia. A questo trofeo sono legati momenti incredibili che hanno segnato in positivo la vita di ogni appartenente al popolo biancoceleste: rimonte romanzesche come quella con il Milan nel 1998, vittorie schiaccianti con teste decolorate e tricolori a suggellare uno strapotere impareggiabile, vittorie conquistate sull’orlo del fallimento contro i più forti, vittorie arrivate dopo interminabili calci di rigore, vittorie che lasciano segni e cicatrici permanenti sul volto degli eterni sconfitti…*
La storia della Coppa Italia per gli altri, è completamente diversa. Per decenni questo trofeo era detto l’unica via percorribile per festeggiare e “sentirsi importanti anche se non si conta niente…”, una lunga serie di vittorie che aveva portato la squadra giallorossa in cima alla vetta dell’albo d’oro della competizione, poi di colpo tutto è cambiato.
In base al periodo più o meno frustrante questo trofeo si trasformava in “portaombrelli” o in una fantasiosa “stella d’argento”. Quando c’era da mitigare la delusione di sconfitte cocenti e delle vittorie altrui, perdeva improvvisamente di valore e considerazione, per poi tornare ad essere un traguardo importante e prestigioso, quando era rimasta l’unica via percorribile, per salvare l’ennesima stagione vissuta da spettatori delle vittorie altrui. Maledetta Coppa Italia…
Una stilettata continua al cuore, una fastidiosa sfina nel fianco che puntualmente regala momenti mortificanti e deludenti.
Undici anni di nulla cosmico a livello di vittorie, mascherato in ogni modo da una comunicazione di regime.
Una sfilza di finali perse sempre in casa, dove quei pochi tifosi che restavano presenti sugli spalti dopo il triplice fischio dell’arbitro, erano costretti a vedere l’avversario di turno festeggiare che gli alzava la coppa vinta in faccia.
Una storia che anno dopo anno, si è trasformata in un vero psicodramma sportivo, con intrecci incredibili, sconfitte tennistiche e continui richiami al passato più doloroso.
La domanda sorge spontanea: ma come cazzo fa un Laziale a definire questi trofei “coppette”? Quando sentite qualcuno che si professa un figlio del nostro stesso sentimento, chiamarle in questo modo, non dategli né considerazione, né rispetto.
In ogni Coppa esposta nella nostra ricca bacheca, c’è una storia fatta di sacrifici e sforzi, di attese logoranti e battaglie sportive, di palpitazioni e lacrime di gioia, di onore e gloria.
Chi dimentica tutto questo è peggio di un rivale dichiarato o un nemico sportivo.
Per qualcuno la parola “Coppa” provoca una fitta di dolore al cuore, a noi un brivido d’emozione…
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!

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