di Danilo GALDINO

Si narrano da 44 anni le gesta di un manipolo di uomini pazzi, rissosi e indomabili.
Si narra di un solo uomo, un vero maestro, capace di guidare, ascoltare, domare ed esaltare un gruppo di campioni.
Si narra di un Presidente considerato da tutti un vero papà, famoso per le sue scaramanzie e le sue previsioni. Un animo buono che faceva il giro del campo per abbracciare e ringraziare tutti i figli del suo stesso sentimento.
Si narra di uno stadio Olimpico scoperto con all’interno 88.000 cuori biancocelesti e altrettante bandiere sventolare.
Si narra di nonne e mamme di ogni rione e quartiere della Capitale, di ogni provincia e paese della nostra regione, intente a cucire giorno e notte, metri e metri di stoffa degli stessi colori del cielo.
Si narra di un popolo a cui ingiustamente l’anno prima era stato strappato il sogno tanto atteso di vincere uno scudetto da neopromossa, che non si piegò ai soprusi e alle prepotenze del potere.
Si narra di una squadra che si allenava a battere gli avversari la domenica pomeriggio e giocava alla morte durante la settimana al campo d’allenamento a Tor di Quinto.
Si narra di gruppi, faide, pistole e fucili, di rivalità e gelosie, scontri continui e scintille in ogni giorno della settimana, ma come per magia una volta indossata quella maglia celeste con l’aquila sul petto ed entrati nel rettangolo verde di gioco, tutti diventavano una banda di fratelli, un blocco granitico e indistruttibile, un’unica cosa dove il sacrificio estremo ed il senso di protezione reciproco erano le principali regole non scritte.
Si narra di una formazione conosciuta e recitata a memoria dai Laziali di ogni età: Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D’Amico.
Si narra di un caldo pomeriggio assolato, cominciato dalle prime luci del mattino di un 12 maggio di 44 anni fa, di una partita contro il Foggia che non si riusciva a sbloccare e del fischio dell’arbitro Panzino di Catanzaro al 60′.
Si narra di un pallone pesante come un macigno, preso in mano dal condottiero di quella squadra, posizionato sul gesso bianco del dischetto di rigore e calciato da un intero popolo.
Si narra di un boato che fece tremare il cielo e di un eco assordante che travolse ogni vicolo, piazza e strada della Capitale.
Si narra di un’invasione di campo al triplice fischio che colorò il manto erboso di bianco e celeste, di lacrime di gioia, di abbracci ed emozioni che in quello stesso istante divennero eternità.
Si narra di generazione in generazione questa straordinaria storia, si narra di padre in figlio come il più magico dei racconti, si narra e non si smetterà mai di farlo…
12 maggio del 1974: una favola senza fine…
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!!!

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.