di Danilo GALDINO
San Tommaso spiegò che: “Il dolore se condiviso si dimezza. La gioia se condivisa si raddoppia”.
In tutti gli angoli della nostra città e del mondo si trova il dolore, troppo spesso dove si trova il dolore non ci sono luci accese e fari puntati, perché il dolore spaventa tutti e viene isolato, abbandonato e dimenticato.
Tanti, troppi, vanno alla ricerca dei luoghi dove ci sono apparenti sorrisi, nella convinzione che ricevere un sorriso di plastica, forzato, privo di spontaneità e autenticità, possa aiutare a crescere.
Nei luoghi dove ogni giorno si convive con il dolore, i muri sono verniciati di angosce e dalle fontane sgorgano lacrime che bagnano le guance di tutti.
Sì perché il dolore non conosce età, né fa sconti a nessuno: bambini, donne, uomini, madri, padri, figli.
I cuori nobili non temono il dolore, ma lo affrontano, lo rispettano e cercano di farlo diminuire. Per i nostri nonni come per i nostri figli la parola dolore e le immagini che lo rappresentano sono associate a drammi, malattie e perdite.
Tra le lacrime vengono annegati ricordi e affetti…
Tra le lacrime sgorgano spremute di cuore…
Tra le lacrime si ascolta il silenzio spettrale e le grida strazianti del dolore…
Tra le lacrime si nascondono anime pie e angeli discreti.
È però dalle lacrime che nascono inaspettatamente i fiori più belli, resistenti e speciali, tutto questo lo insegna perfettamente la storia.
Il fiore più bello della Capitale è sbocciato nel cuore della Città Eterna in un 9 gennaio del 1900, un fiore che affonda le sue radici nei valori della lealtà, del coraggio, nella nobiltà d’animo e nella generosità, annaffiato da lacrime e amore incondizionato.
La grande guerra portó tra il 1915 e il 1918 tanto dolore e fiumi e fiumi di lacrime, ma tutto questo non riuscì spazzar via il fiore più bello della nostra città. La Lazio ed i Laziali diedero i loro calciatori migliori al fronte per difendere il suolo natio, calciatori e uomini valorosi a cui non venne permesso di disputare la finale scudetto del 1915 meritatamente conquistata sul campo.
Il 2 giugno 1921 per Regio Decreto la Lazio viene insignita della benemerenza di Ente Morale.
Alla Lazio veniva riconosciuto il suo ideale sportivo come esempio di rettitudine fra i giovani sportivi dell’epoca. Le sue gesta erano arrivate anche a Corte e la Benemerenza di Sua Maestà Vittorio Emanuele III era stata accolta come un motivo d’orgoglio fra i soci e gli atleti della Polisportiva e tutti i cittadini romani.
Il Generale Giorgio Vaccaro, spiegò più volte che: “La Lazio è un ente morale, molto di più rispetto ad una semplice società di calcio”.
Noi da sempre siamo qualcosa di differente da tutti gli altri, la Lazio ed i Laziali sono élite: valori, tradizioni e insegnamenti che si tramandano di padre in figlio da quasi 118 anni.
Le lacrime continuano a scorrere nel corso del tempo, solcano le gote di piccoli e grandi, ma quel fiore straordinario resiste e germoglia continuamente, di generazione in generazione, petali di tutte le età che si adoperano sempre per aiutare chi soffre.
A distanza di un secolo i Laziali tornano ad alleviare il dolore e la sofferenza, con estremo rispetto, con pacatezza ed educazione. In queste ultime settimane hanno fatto visita ai bambini dell’Idi, dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, al Policlinico Agostino Gemelli e ieri all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, portando a tutti loro una ventata di positività e gioia.
Sicuramente vincere una Supercoppa battendo una grande come la Juventus regala emozioni, vincere un derby è sempre una sensazione fantastica e riuscire a vincere sabato a Ferrara sarebbe importante, ma in assoluto la vittoria più bella si consuma ogni giorno attraverso la continua consapevolezza di essere qualcosa di unico, ineguagliabile e inimitabile, essere semplicemente la differenza.
Oggi come allora, orgogliosamente Laziali…
Il dolore e le lacrime non potranno mai affogare un amore così grande, un amore così… S.S.LAZIO ENTE MORALE!!!
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!