di Danilo GALDINO

Febbre: Aumento della temperatura del corpo dovuto a causa morbosa. Intenso fervore, ardore, passione viva. La febbre è un’energia vitale che irrompe per eliminare virus e batteri. Ma lo stesso “fuoco” può comparire, specie alla sera, quando non diamo spazio sufficiente alla nostra vitalità. C’era un tempo in cui nella Città Eterna esisteva la febbre da derby, un’energia vitale che irrompeva in ogni vicolo e angolo dei Rioni e dei quartieri, eliminando per qualche settimana i virus dei disagi cittadini ed i batteri di una politica ingorda ed egoista, parafrasando Francesco De Gregori una politica che sembra aver trasformato la lupa, in una cagna in mezzo ai maiali… C’era un tempo, una splendida tradizione sportiva, storica, socio-culturale, che contraddistingueva e caratterizzava la Capitale d’Italia da tutto il resto dello stivale. C’era un tempo il derby che si aspettava con trepidazione da luglio, nel giorno in cui si stilavano i calendari del campionato di serie A. C’era un tempo in cui famiglie, amici, colleghi di lavoro, fidanzati, per giorni e settimane limitavano ogni genere di contatto, per scaramanzia o quieto vivere. C’era un tempo in cui la domenica pomeriggio del derby dalle 15:00 alle 16:45, la città di Roma si fermava, i rumori sparivano e le piazze e le strade diventavano deserte. C’era un tempo in cui per trovare un biglietto ed essere presenti allo stadio Olimpico il giorno del derby, bisognava sudare sette camicie. C’era un tempo, in cui Roma era conosciuta da tutti come la città di Romolo e Remo, dei Patrizi e Plebei, dei Cesari e dei Legionari, degli Orazi e Curiazi, del Colosseo e del Cupolone, e del derby. Uno spettacolo nello spettacolo che coinvolgeva e appassionava persone di tutte le età, sesso e ceti sociali. Poi sono arrivati loro: personaggi che con Roma e con le sue tradizioni non hanno nulla a che vedere. Funzionari, burocrati, lacchè ed esecutori spietati che hanno scientemente strozzato e mortificato questo evento: divieti, limitazioni, spostamenti di giorni e orari spesso improponibili, disagi e difficoltà di ogni genere per raggiungere lo stadio, anno dopo anno si è soffocata questa splendida tradizione chiamata derby capitolino. Viviamo in una società che anziché preservare ciò che identifica e caratterizza da sempre un popolo per usi, costumi e tradizioni, cerca di snaturare e imporre un’uguaglianza ed un’omologazione priva di logica. I dati delle presenze degli ultimi anni sono inequivocabili, perché nella sfida più importante della storia del calcio romano all’Olimpico il 26 maggio 2013 eravamo meno di 50.000 spettatori paganti. Nelle ultime due sfide di Coppa Italia del 2017 valide per accedere alla finalissima, all’andata eravamo circa 30.000 persone e al ritorno 43.721. Nel campionato 2015/2016 nelle due sfide i presenti erano 35.253 e 29.205, nel 2016/2017 invece eravamo 35.000 e 43.721, nelle restanti sfide fino all’ultima vinta 3-0 il 2 marzo scorso la media era tra i 45.000 ed i 50.000 spettatori. Vedere puntualmente spazi vuoti sugli spalti è un duro colpo al cuore e dovrebbe far riflettere un po’ tutti, da chi vive da sempre la contrapposizione quotidiana con la giusta passione e la proverbiale goliardia, fino agli spettatori non coinvolti direttamente, ma affascinati da una sfida unica nel suo essere. A poco più di 48 ore dal fischio d’inizio le previsioni più ottimistiche e le proiezioni più realistiche parlano di circa 45.000-50.000 tifosi e la colpa non è attribuibile alla seconda giornata di campionato, al costo dei biglietti o a fattori tecnici delle due squadre. La verità è che sono sempre di più le persone che vivono l’attesa e l’evento della stracittadina in modo tiepido e distaccato. Chi governa il ricco carrozzone calcio e intende omologare e standardizzare tutto e tutti per agire sempre più indisturbato, è riuscito attraverso l’applicazione di leggi spesso illogiche e che colpiscono puntualmente i tifosi più passionali, l’utilizzo dei vantaggi, della qualità e la comodità delle televisioni che prendono facilmente il sopravvento sull’inadeguatezza calcolata delle infrastrutture scomode, fatiscenti e obsolete, a completare l’opera di allontanamento. Fortunatamente non tutti si sono fatti narcotizzare la propria passione e hanno cambiato il modo di vivere qualcosa di speciale ed elettrizzante come un derby. Dio benedica chi ancora passa notti insonne a sperare e sognare, chi ancora guarda costantemente il calendario e conta le ore che mancano all’appuntamento per andare allo stadio, chi risponde sempre presente a prescindere e si emoziona come la prima volta. Sì, forse non è tempo per noi, che non ci svegliamo mai, ma abbiam sogni però troppo troppo grandi e belli sai… e nessuno potrà mai portarceli via… a domenica. Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!

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