di Danilo GALDINO

Sono secoli che l’uomo si interroga sul concetto di immortalità. La domanda più ricorrente è se ci sia vita dopo la morte? I miti, le religione, le filosofie e la scienza hanno provato in modi diversi a dare delle risposte.
Il filosofo Giordano Bruno provò a spiegare il concetto in questo modo:
“Io ho ritenuto e ritengo che le anime siano immortali… I Cattolici insegnano che non passano da un corpo in un altro, ma vanno in Paradiso, nel Purgatorio o nell’Inferno. Ma io ho ragionato profondamente e, parlando da filosofo, poiché l’anima non si trova senza corpo e tuttavia non è corpo, e può essere in un corpo o in un altro, o passare da un corpo all’altro…”
L’immortalità permette a un’anima, ad una data, ad un ricordo, di trasformarsi in eternità, attraverso quella continua trasmissione da un cuore ad un altro, attraverso suoni, voci e immagini che vengono raccontati e tramandati di padre in figlio.
Il 5 luglio del 1987 a Napoli vivemmo il giorno più lungo della nostra vita ultracentenaria, una giornata che non iniziò allo scoccare della mezzanotte o all’alba, ma il 27 giugno. Al triplice fischio di quell’immeritata sconfitta con il Taranto su goal irregolare di De Vitis, iniziò una vita parallela a quella reale e quotidiana. In quella settimana tutti i figli del nostro stesso sentimento, continuarono apparentemente ad andare a lavorare, a giocare con i propri figli, a mangiare poco e male. Tutti nessuno escluso avevano la testa a quel 5 luglio, il giorno dei giorni, il giorno in cui non esisteva un semplice risultato, nè vittoria, pareggio o sconfitta, ma solo e soltanto: vita o morte!
Dopo che il 21 giugno, il nostro indomito bomber Fiorini ci aveva catapultato dall’inferno al purgatorio, il nostro cammino continuava ad essere impervio, faticoso e a tratti drammatico.
Quei 230 chilometri che distanziavano Roma da Napoli, sembravano 2300, il caldo torrido di quell’estate italiana sembrava aumentare la temperatura di ora in ora. La paura con lo scorrere del tempo prendeva il sopravvento sui quasi 35.000 poeti guerrieri presenti al San Paolo e tutti gli altri rimasti nella Capitale. L’arbitro Casarin dirigeva quel Lazio-Campobasso consapevole dell’importanza di quello spareggio. Le lancette correvano incontro alla morte calcistica, correvano veloci, fino ad arrivare al 52′ minuto.
Quel momento divenne di colpo immortale… Quella banda di uomini e di Laziali divenne immortale… Tutti i presenti in quello stadio divennero immortali…
E se oggi a distanza di trentadue anni i ricordi sono ancora indelebili ed i brividi sono ancora forti, è perché noi siamo infinito…
Il Laziale ha sconfitto la morte, ha superato soprusi e torti, il Laziale da sempre vive e si nutre di un amore così grande…
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!

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