Enrico Bendoni, ex direttore generale della Lazio negli anni Novanta, è intervenuto sugli 88.100 di ElleRadio nella trasmissione Laziali On Air:

E’ sacrosanto pensare che un acquisto come Cristiano Ronaldo possa essere la locomotiva in grado di rilanciare il calcio italiano. La Juventus ce l’ha fatta con le sue forze, sfruttando anche una situazione che si era venuta a creare fra il giocatore, il fisco spagnolo e il Real Madrid. Portare Ronaldo in Italia ha significato per tutto il sistema una crescita. Quando la Juventus andò in B nel 2006, tutte le squadre della Serie A persero due milioni tra diritti e incassi al botteghino. L’aspetto più importante di questa situazione è legato al mercato internazionale: nei primi anni 2000, quando le società vincenti erano ancora la Lazio di Cragnotti e la Roma di Sensi, c’erano di fatto sette squadre a lottare per lo Scudetto, spesso la finale di Coppa UEFA era tutta italiana e anche le altre Coppe venivano spesso vinte. Quella situazione era figlia di un primo momento di vendita dei diritti televisivi: il calcio resta l’unico sport a livello globale.

A Dubai abbiamo affrontato un evento sullo sviluppo del calcio in cui si è stabilito come il Mondiale femminile di calcio procurerà un miliardo e trecento milioni di contatti in tutto il mondo. Il calcio italiano ha chiuso un contratto triennale sui diritti senza considerare l’effetto-Ronaldo, e questo è stato un errore clamoroso. Per considerare il valore dei diritti di un evento bisogna valutarne il contesto: il calcio è sempre stato considerato una “killer application” per le televisioni, e si è cercato di tutelare i gestori in nome di una pluralità d’informazione.

Un discorso che non funziona però quando siamo in competizione con soggetti internazionali: la Premier League, utilizzando lo stesso gestore ovvero Sky, ci ha insegnato come si potessero vendere meno della metà delle partite in sole quattro finestre, con un embargo totale il sabato pomeriggio per il calcio in tv di tutti i campionato. Questo ha garantito comunque stadi pieni, mercato televisivo importante perché quelle finestre sono sufficienti a garantire quella redditività, e il calcio inglese è stato venduto a tre volte quello italiano, mentre gli stadi italiani sono stati massacrati da divieti e fatiscenza degli impianti. Nella prima fase della globalizzazione del calcio, questo ci ha fatto retrocedere di diverse posizioni nella gerarchia mondiale.

La gente dimentica che gli stadi sono stati massacrati, con la gestione passata sulle spalle della società anche a livello di steward, senza considerare che ogni volta che cambia il Ministro degli Interni si chiedono cose diverse. Basti pensare alla situazione delle scommesse, diventato un mercato globale, ma in Italia non si può fare la pubblicità. E’ una cosa logica? Il calcio italiano non ha mai potuto condividere gli eventi quotabili, un evento con “goal” è manipolabile senza neanche dare l’impressione di stare tradendo la lealtà sportiva, perché si può partire dall’1-1 e giocarsi lo stesso la partita. L’ufficio inchieste ha molto più lavoro, quegli eventi che potevano essere tolti dalla possibilità di gioco restano, senza dare neanche un contributo. La spesa dell’ufficio inchieste e dei controlli deve essere sostenuta dalle agenzie di scommesse grazie al contributo che possono dare al calcio.

Il CEO del Liverpool a Dubai hanno stimato 771 milioni i contatti fra tifosi e appassionati che seguono la squadra, un 10% della popolazione mondiale. Questo fa capire come può essere rapida la crescita: l’Italia è ancora un campionato di riferimento, l’investimento sulla possibilità di avere Ronaldo era stato studiato, se ne era parlato. Se oggi prendi Messi insieme a Ronaldo, completi un discorso che porterebbe il calcio italiano ad essere più ricercato: il problema è che i contratti televisivi non hanno previsto l’ingresso di un top player, ogni società di Serie A avrebbe un beneficio di circa 2 milioni, visto che i soldi si dividono, da operazioni di questo tipo.

Questo deve far riflettere tutto il sistema calcio, non può essere un problema di Lotito una volta o di Pallotta un’altra: il calcio italiano ha bisogno di una Lega che ragioni da sistema, e non come agglomerato di singoli interessi. E’ chiaro che le piccole società fanno altri ragionamenti, ma bisognerebbe far arrivare le sorelle a dodici, non a sette. In Inghilterra c’è un livello alto per tutti, l’ultima squadra del calcio inglese prende 150 milioni di euro. Al momento siamo indietro, ma il recupero può essere molto rapido se ci sarà una condivisione dei temi: la Juventus ha chiuso da sola l’operazione Ronaldo, la Lega Calcio dovrebbe capire che i vantaggi di queste operazioni si riversano su tutti.

Se ci sono delle squadre che hanno dei fatturati più alti, è sbagliata la concezione che c’è stata del fair play finanziario rispetto a chi porta risorse reali. Se oggi una proprietà straniera venisse a scegliere la Lazio piuttosto che la Juve, penserebbe di portare una squadra della città di Roma a livello internazionale. Leicester e Chievo sono state favole a livello mondiale, forse nella storia del calcio mondiale l’impresa del Leicester è stata la più grande di tutti i tempi, e questo ha portato nella storia il proprietario purtroppo recentemente scomparso. Il fair play finanziario al momento impedisce questa impresa, anche squadre come Inter e Milan devono attendere di far crescere il fatturato. Per riuscirci serve entrare in Champions per spendere di fatto anche i soldi che hai, ma non puoi spendere prima di aumentare il fatturato.

Questo mette in discussione anche il lavoro di professionisti, al Milan Gattuso e Leonardo sono in tensione, lo stesso vale per Spalletti. Questo produce nervosismo a tutti i livelli, anche sugli arbitri, l’allenatore implicitamente guarda storto il direttore di gara facendogli capire: “Sai che se io perdo mi cacciano via?” Non fa bene a nessuno che la Juventus vinca sette Scudetti di fila, l’interesse sul campionato italiano è calato nonostante i bianconeri abbiano 12 milioni di tifosi. Il nostro vero problema è diventare un po’ più inglesi, nessuno vince tre Premier di seguito, negli ultimi anni hanno vinto il Leicester, il City, il Chelsea e forse quest’anno toccherà al Liverpool. Noi dobbiamo cercare di ritrovare questo equilibrio.

Il Financial Fair play ha consentito di ripulire a livello europeo una situazione economica difficile per il mondo del calcio. In Italia la situazione è abbastanza chiara, Napoli e Roma rispettano il fair play e l’UEFA è intervenuta su Roma, Inter e Milan con limitazioni. Il problema di fondo nasce quando intervengono fattori che non si possono mettere in discussione: aziende che pagano centinaia di milioni di sponsorizzazioni vanno tenute in considerazione, la Juventus con Ronaldo vende la sua maglia da 29 a 51 milioni. Poi ci sono sospetti su sponsorizzazioni come quella del PSG che possono essere esagerate, ma questi soldi hanno giustificazioni. Lo United vende milioni di maglie a fronte di enormi sponsorizzazioni, se la Lazio ricevesse questi soldi senza vendere maglie sarebbe un’anomalia. Alla luce di questi controlli, bisogna agevolare l’ingresso di nuove proprietà che portano business e fatturato.

Le Leghe americane sono Leghe chiuse, anche quello non è un sistema perfetto, tant’è che il calcio ha una popolarità che gli sport Usa non hanno, la stessa NBA quasi non si confronta con gli altri paesi. La nostra ambizione è far crescere una Lega di Serie A come sistema mantenendo il nostro DNA: sarebbe ideale una Lega da 16 squadre, mantenendo il concetto di promozione e retrocessione, ma avere squadre come Sampdoria, Fiorentina, Atalanta, magari recuperando anche il Bologna, con un margine di crescita e competitività che mantengano le realtà metropolitane, in grado di produrre ricavi e interessi, ad alti livelli e garantire una base per tutti, alzando la quota dei diritti che ti permetterebbe di crescere di peso a livello internazionale come movimento calcistico italiano. Rischiamo invece nei prossimi anni di veder crescere un campionato d’Europa e una Champions ancora più selettiva e questo potrebbe essere una tomba del sistema, far diventare il calcio una sorta di circuito ATP distribuito fra venti squadre.

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