di Danilo GALDINO

“La cosa importante è non smettere mai di credere che si può sempre ricominciare, ma c’è un’altra cosa importante da ricordare: in mezzo a tanto schifo ci sono alcune cose a cui vale la pena di aggrapparsi.”
Se in questo 6 giugno 2018 ci troviamo a parlare della Lazio nostra in un certo modo il merito è di un campione che non ha mollato, di un Capitano che nonostante lo sconforto, la paura e lo smarrimento generale, non ha smesso mai di crederci. Un uomo a cui si è aggrappato un intero popolo in un caldo pomeriggio di trentasei anni fa.
Molti Laziali alla domanda: “qual’è stato il momento più difficile della nostra storia?”,  rispondono Lazio-Vicenza e quel goal di Fiorini, altri ricordano il Lazio-Campobasso allo stadio San Paolo e la rete salvezza di Fabio Poli, ma i più grandi non scordano cosa accadde cinque anni prima degli spareggi di Napoli.
Era un 6 giugno e come oggi a Roma faceva caldo, la Lazio nostra non aveva campioni come adesso appetiti dai più ricchi e importanti club d’Europa, ma viveva un periodo molto difficile. Dopo vari problemi economici, scandali che l’avevano travolta, rischiava di deragliare e sprofondare nei bassifondi della serie C.
In quel periodo i Laziali, non erano grandi esperti di calciomercato come ora, non si sentivano grandi economisti o ragionieri come adesso, ma dovevano solamente avere delle palle d’acciaio e una fede incrollabile per sopravvivere.
Quel giorno allo stadio Olimpico ancora privo di copertura, non c’erano i 65.000 di Lazio-Inter del 20 maggio scorso.
Quel 6 giugno del 1982, erano presenti pochi indomabili poeti guerrieri biancocelesti, che ancora credevano e speravano in un’impresa miracolosa.
Quel giorno davanti a noi, non c’era la Juventus di Massimiliano Allegri o il Real Madrid di Ronaldo, ma l’avversario che si frapponeva tra la vita e la morte, era il Varese di Eugenio Fascetti.
Quel giorno erano poche le certezze a cui aggrapparsi, anzi per dirla tutta c’era un solo uomo che avrebbe potuto prenderci per mano e tirarci fuori dall’Inferno.
Quella persona non era un giocatore qualsiasi, ma era il nostro Capitano Laziale, era il nostro Capitano eroe…
Quasi tutti i Capitani sono quei calciatori che scambiano il gagliardetto ad inizio partita, parlano con l’arbitro e indossano una fascia identificativa al braccio, e poi ci sono pochissimi Capitani-Eroi. Loro non hanno il mantello o armi speciali, ma sono innamorati della maglia che indossano. Loro incarnano il sogno di ogni tifoso.
I Capitani-Eroi non giocano solamente per i soldi, per i record, gli interessi personali o per vincere importanti trofei.
I Capitani-Eroi lottano, soffrono, piangono e stringono i denti, per non far soffrire i figli del loro stesso sentimento. Sono felici della loro felicità e per regalargliela si impegnano con tutta la loro forza ed il loro cuore.
Vincenzo D’Amico è stato il nostro Capitano Eroe!
Lui è stato uno dei pochi calciatori italiani ad aver vinto uno scudetto da protagonista a soli 19 anni. Ha subito vari infortuni nel corso della sua carriera, ma si è sempre rialzato. È stato il Capitano in uno dei momenti più critici della nostra storia. È l’unico che si è diminuito lo stipendio e preferì giocare in serie B con la sua Lazio, piuttosto che stare in una grande squadra della serie A.
Il 6 giugno del 1982, segnò la tripletta più importante della nostra storia, e lo fece con una caviglia infortunata e sanguinante. Quei tre goal al Varese di quel Mister che cinque anni dopo avrebbe guidato la famosa Banda dei -9.
Quel giorno Vincenzo D’Amico fu l’ultimo Laziale a smettere di credere e lottare, ed il primo a gioire per una delle vittorie più importanti della nostra storia.
Il 6 giugno del 2013 quando invademmo Trinità dei Monti per festeggiare la storica vittoria nella finale contro gli altri, il mio primo pensiero non è stato Senad Lulic, ma in quel momento di gioia estrema il primo grazie è stato per il nostro Capitano Eroe… senza Vincenzo D’Amico, non sarebbe esistito nulla di ciò che si è fatto, vinto e festeggiato negli ultimi trentasei anni di vita.
Vincenzino non aver paura, di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.
Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia… eternamente grazie Capitano!!!
Oggi più di ieri, Avanti Lazio… Avanti Laziali!!!

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